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Gramsci e Gobetti: la nascita di un binomio

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L’aspetto affrontato in questo articolo, è forse uno dei nodi storiografici centrali nella biografia politico culturale di Piero Gobetti in quanto ha condizionato anche lo studio del giovane intellettuale Torinese cioè il suo rapporto con Gramsci. In questa prima parte viene affrontata la nascita di questo binomio.

Il comunista Gramsci e il liberale Gobetti

Una testimonianza importante per capire il rapporto porto tra l’intellettuale comunista e il giovane intellettuale liberale è quella di Camilla Ravera raccolta da Paolo Gobetti nel libro Racconto interrotto.  Piero Gobetti nel ricordo degli amici. Camilla Ravera  racconta:

Mi ricordo quando io arrivai a Mosca nell’ottobre del ‘ 22 un delle prime domande che Gramsci mi fece fu questo: «E Piero Gobetti?» Io potevo dargli poche notizie perché in quel momento io ero già quasi entrata in clandestinità. [1]

AA. VV.,  Racconto interrotto. Piero Gobetti nel ricordo degli amici, Nuova immagine, 1992

Queste parole fanno capire la relazione di rispetto e stima tra l’intellettuale comunista e il giovane intellettuale liberale che può sembrare paradossale.  Il rapporto  tra il liberale Piero Gobetti e il comunista Antonio Gramsci, può essere di difficile comprensione se non si tiene conto del particolare contesto in cui si svolge la loro rapporto quella della Torino, capitale dell’industria italiana, dopo la prima guerra mondiale e la portata immensa della rivoluzione russa sembrava aver spalancato per i lavoratori e tutta l’umanità.

La nascita di un accostamento

L’inizio di questo giudizio su Gobetti si può far risalire a quando il giovane torinese invitò a Torino il fondatore della Voce Giuseppe Prezzolini per organizzare un incontro con Gramsci. Prezzolini su questo scrive:

Gramsci è uno degli uomini più notevoli dell’Italia. Il suo Ordine  ha una parola originale. E personalmente ha fede, energia, non lavora per il momento…Mi fermai per conoscere il gruppo di amici di Gobetti. È un’energia Gobetti, una forza morale grande…Ma penso che se domani non dovessi andare d’accordo con lui, mi taglierebbe la testa, se potesse, senza scrupoli. Per onestà.[2]

G. Prezzolini (a cura di), Gobetti e la Voce, Sansoni, 1971 p. 37

Risale a questo periodo la diceria di un Gobetti cripto-comunista, un comunista camuffato da liberale, nata in ambienti socialisti locali. Gramsci in diverse occasioni smentì questa diceria, in un occasione trascinato in una polemica personale, replicò seccamente:

E cosa c’entra il liberale Gobetti? Egli non è iscritto al Partito comunista, è un giovane che ha compreso la grandezza della Rivoluzione russa e dei capi che la guidano….Egli non ha responsabilità politiche all’Ordine nuovo[…][3]

A. Gramsci, Scritti 1915-1921, nuovi contributi, a cura di S. Caprioglio, i Quaderni del «Corpo», 1968, p. 160

Nello stesso articolo successivamente scrive:

Ci auguriamo che egli si persuada sempre più che se liberalismo significa incremento di capacità e della autonomia popolare, se il liberalismo significa incremento di capacità politica negli individui, oggi il liberalismo come concretezza storica, vive solo nel Comunismo internazionale[4]

A. Gramsci, Scritti 1915-1921, nuovi contributi, a cura di S. Caprioglio, i Quaderni del «Corpo», 1968, p. 160

La testimonianza di Barbara Allason

Questa idea quindi è stata smentita dallo stesso segretario del PCd’ I, la domanda rimane allora come si arrivati a questo binomio. Certamente il nome di Gramsci circolava durante il ventennio tra gli intellettuali torinesi e nei circoli de « La rivoluzione liberale» un esempio di questo accostamento tra Gramsci e Gobetti sin può trovare in Barbara Allason, in cui scrive:

In quel tempo si parlò molto del sodalizio Gramsci-Gobetti che fu criticato e incompreso e dai collaboratori del’Ordine nuovo e da quelli di Rivoluzione liberale. Io ne  chiesi una volta a Piero, ed egli mi disse: «Gramsci è una delle più limpide intelligenze  e dei più grandi caratteri che esistano oggi in Italia. Io ho molto appreso da lui».

B. Allason, Memorie di un’antifascista, Graphot, 2008,  p.21

Calosso e Vigolongo: La nascita del binnomio Gramsci-Gobetti

Umberto Calosso

Un ruolo certamente determinante nella costruzione di questo accostamento è sicuramente quello di intellettuali formatisi in zona di confine tra l’influenza gramsciana e  quella gobettiana come Andrea Vigolongo e Umberto Calosso.

Il primo dei due intellettuali citati Andrea Vigolongo, giovane socialista  era stato compagno di scuola di Gobetti e fu lui a presentare Gobetti e Gramsci. Nelle notarelle gobettiane, in cui la moglie Giovanna Viglongo, emerge in modo netto questo accostamento tra il giovane intellettuale liberale e  l’intellettuale comunista.

Un passaggio si ha con il secondo intellettuale citato,  Umberto Calosso  il 14 agosto 1933  scrive un articolo nel Quaderno n. 8 di Giustizia e Libertà su Gramsci  e l’ Ordine Nuovo in cui conclude il suo articolo con questa affermazione:

In un certo senso «Rivoluzione liberale» fu l’erede de «L’Ordine Nuovo» . E non ostante la morte immatura di Gobetti e l’agonia crudele di Gramsci, noi crediamo che questa eredità sia tuttora operante in noi, corretta delle sue negatività e integrata dall’esperienza animosa che è ogni giorno nuova e senza passato.

U. Calosso, Gramsci e L’Ordine Nuovo, in Quaderno n. 8 di Giustizia e libertà, agosto 1933 p. 79

Questi  giudizi su Gobetti hanno  portato nel secondo dopoguerra al successo del binomio tra il comunista e il liberale. Questo binomio  è stato oggetto  di numerosi studi che hanno  portato in alcuni i  casi  ad una mitizzazione di questo rapporto, volute in modo diretto o indiretto dal PCI.

Francesco Sunil Sbalchiero

Bibliografia

G. Viglongo, Notarelle gobettiane, Robin Edizioni

G. Scroccu, Piero Gobetti nella storia d’Italia. Una biografia politica e culturale, Le Monnier, 2022

P. Spriano, Intervista sulla storia del Pci, ( a cura di) S. Colarizi, Laterza, 19179

C. Pianciola, Piero Gobetti. Una passione libertaria, editrice Il Punto, 1998

Gobetti e il giudizio sul Partito popolare

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Piero Gobetti come protagonista del suo tempo e acuto osservatore  si trovò a doversi confrontare con l’esperienze politiche del primo dopoguerra  tra queste vi è  il Partito  popolare italiano fondato da don Luigi Sturzo nel febbraio 1919.

Gobetti e il giudizio critico iniziale verso il Partito popolare

Gobetti si occupo del Ppi e della figura di Sturzo fin  dalla sua  prima rivista «Energie Nove» . I  primi giudizi  del giovane intellettuale  sul Ppi furono severi e riprendevano idee e perplessità   comuni nella cultura politica  liberale. Molti liberali,  infatti rievocarono l’opposizione della Chiesa al processo di unificazione italiana.

Dall’ inizio del 1919 all’estate del 1922  nei suoi giudizi Gobetti non riconosceva al Ppi alcuna forma autonomia dalle gerarchie ecclesiastiche e vedeva  semplicemente nel Ppi  la  longa manus degli  ambienti vaticani nella politica italiana.

Queste idee sul Ppi vengono affermate  da Gobetti anche nell’articolo La nostra fede , che inaugura la seconda serie della prima rivista diretta dal giovane intellettuale torinese   Energie nove,  in cui scrive:

Data la rivelazione di verità di cui la Chiesa è depositaria esclusiva, non ci può essere altra logica è depositaria esclusiva, non ci può essere altra logica conseguenza fuori dall’assolutismo. [1]

Gobetti attribuendo alla Chiesa il carattere dell’assolutismo , sosteneva che visto la scarsa autonomia dalla gerarchia ecclesiastica del Ppi, anche il partito di Sturzo aveva questo carattere. Queste idee sul Ppi vengono riaffermate da Gobetti anche nell’articolo del 1920, La rivoluzione italiana. Discorso ai collaboratori di Energie Nove   in cui il Ppi viene definito: «il rappresentante del dogmatismo e della diseducazione nel mondo del pensiero moderno»[2].

Gobetti e il cambiamento di giudizio sul Ppi

L’intellettuale torinese passo  da una posizione documentata di sospetto ad una posizione documentata di rispetto cercando di capire l’opera e la figura di Sturzo e  il ruolo del popolarismo.  I primi cambiamenti di giudizi di Gobetti sul Ppi iniziarono già con un breve articolo Popolari e reazione del 16 aprile 1922 che può essere un articolo  in cui il pensiero di Gobetti

In questa breve nota del 16 aprile Gobetti sosteneva che al di la delle intenzioni falsamente democratiche e populiste del Ppi e della gerarchia ecclesiastica le loro idee e azioni potevano avere una funzione positiva.

I popolari, secondo Gobetti proponevano idee di democrazia, libertà e affermavano l’aunomia della sfera politica e quella religiosa senza credere  veramente a queste idee, ma credevano a queste idee le masse a cui loro si rivolgevano.  L’intellettuale torinese  su questo scrive:

Il partito di don Sturzo sarebbe diventato, nonostante  tutte le intenzioni, il primo passo verso il mondo moderno, la scuola elementare, l’abbecedario della liberta e dell’eresia.[3]

L’influenza di Gramsci  nel cambiamento di giudizio di Gobetti

Nell’articolo Popolari e reazione  per lo stile, l’impostazione e l’utilizzo dell’idea di  come l’azione del Ppi porti ad un «rovesciamento della praxis»  vi è un parallelismo con l’articolo di Gramsci I popolari comparso sull’”Ordine nuovo” il 1 novembre 1919.

Questo articolo Gramsci in cui esprime la sua opinione sul Partito popolare era noto a Gobetti tanto che verrà riprodotto anche sulla “Rivoluzione liberale” il 9 luglio 1922. L’influenza di Gramsci e  i contatti con col movimento orino vista torinese poteranno Gobetti ad essere più sensibile ai problemi dei movimenti di massa.

Tutti questi elementi contribuirono al cambiamento di giudizio di Gobetti, ma non furono la causa principale di questo cambiamento e vi furono altri influssi. Dopo l’articolo Popolari e reazione l’intellettuale torinese abbandonò anche  l’impostazione gramsciana del suo discorso sul partito di Luigi Sturzo.

L’influenza del maestro  Salvemini e il momento storico

Un ruolo importante sul mutamento di giudizio di Gobetti fu quella del suo maestro Gaetano Salvemini che da diverso tempo seguiva con attenzione le vicende de movimento cattolico  italiano e già nel 1898 sulla Critica Sciale aveva pubblicato un saggio dal titolo Avvenire del partito cattolico.

Salvemini nel periodo di mutamento del pensiero del giovane intellettuale torinese pubblicò  proprio sulla Rivoluzione liberale il 12 marzo 1922  un articolo   dal titolo Il Partito Popolare  e fu il primo importante articolo sul tema apparso sulla rivista gobettiana.  Salvemini nell’articolo sottolineava le tendenze cattolico progressiste ereditate dalla prima Democrazia Cristiana e il ruolo svolto da Sturzo nel partito.

Un altro aspetto non secondario di cui  tenere conto nel mutamento dell’idee di Gobetti è il contesto politico in cui avviene cioè in una fase di  crescente successo del partito fascista e l’inizio della sua opposizione al fascismo.

La rivalutazione gobettiana

Gobetti non rivalutò tutto il Partito popolare, ma solamente alcune tendenze presenti all’interno del partito. Il criterio con cui Gobetti operò questa scelta fu l’accettazione da parte degli esponneti del movimento cattolico  di alcuni principi del liberalismo, del liberismo e della lotta politica in una società pluralistica.

La parte del Ppi che accettava questi principi avrebbe potuto svolgere una funzione liberale nel dibattito politico e nella società italiana. Contrapponendosi in questo modo al fascismo. Il giudizio di Gobetti rimaneva negativo verso la Chiesa in quanto inficiata da tendenze dogmatiche e teocratiche, inoltre il giovane intellettuale torinese criticava le aspirazioni e  i tentativi ad intervenire sulla vita pubblica italiana. Rimaneva anche critico verso la Cil,  la confederazione sindacale di ispirazione cattolica per il suo interclassismo  che Gobetti riteneva incompatibile con la sua idee liberali. Nel suo libro  La rivoluzione liberale del 1924 su questo argomento scrive:

Il sindacalismo bianco mancando di uno spirito battagliero di classe, fu sfruttato dagli industriali  come un espediente della resistenza  agli operai estremisti, alla stregua dei krumiri[4]

La permanenza di alcuni elementi critici nel Ppi e la debolezza di fronte al fascismo

Nel suo saggio politico del 1924  La rivoluzione liberale,  il giovane intellettuale torinese  individua un ulteriore limite del Ppi  che considera fondamentale cioè quello che il Ppi non era riuscito a suscitare forze in grado di sostenere la sua classe dirigente. Inizialmente aveva supplito a questa mancanza con il sostegno di alcune gerarchie ecclesiastiche, ma queste avevano limitato le azioni positive di Sturzo e di altri esponenti  del PPI.

Successivamente  quando il sostegno delle gerarchie ecclesiastiche venne a mancare, il Ppi aveva visto venire la sua possibilità di autonomia e di azione nella vita politica italiana e questo portò il Ppi ad non essere in grado di resistere al fascismo

Gobetti e l’ultimo congresso del Ppi

Dopo della partenza per l’esilio di Sturzo il Partito popolare e il suo nuovo segretario Alcide De Gasperi vennero sottoposti a duri  attacchi dalla stampa fascista. Dopo il discorso del 3 gennaio 1925 la voci delle opposizioni vennero  progressivamente meno. .

In  questo  clima il Ppi riuscì a dare ancora  una prova di vitalità svolgendo il proprio congresso che si tenne a Roma in un ampio salone i via Monte della  Farina tra il 28 e il 30 giugno 1925.

Gobetti, anche in questa occasione,   fu un attento osservatore  e  pubblicò  un articolo  sull’argomento il 5 luglio 1925  in cui notò come  il congresso del Ppi fu uno dei più importanti di quelli svolti fino a quel momento.


Note e Bibliografia

[1] P. Gobetti, La nostra fede, (a cura di) G. Fontana, Aras, 2021 p. 45-46

[2] P. Gobetti, La rivoluzione italiana. Discorso ai collaboratori di Energie nove,Educazione nazionale, 30 novembre 1920, ora in P. Spriano, Scritti politici, Einaudi, Torino,  p. 189

[3]  Antuguelfo, Popolari e reazione, Rivoluzione liberale 16 aprile 1922 ora in P. Spriano (a cura di), Scritti politici, Einaudi, Torino  p. 318

[4] P. Gobetti, La Rivoluzione Liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, (a cura di) E. Alessandrone Perona, Einaudi, Torino,2008 p. 76

P. Bagnoli, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Due apposte radici e una stessa idea di libertà, Salvatore Sciascia Editore, Caltanisetta-Roma, 2017

G. De Rosa, Il Partito popolare italiano, Laterza, Roma-Bari, 1974

M. A. Frabotta, Gobetti. L’editore giovane, Il Mulino, Bolgna, 1988

B. Gariglio, Progettare il postfascismo. Gobetti e i cattolici ( 1919-1926), Franco Angeli, Milano, 2003

B. Gariglio (a cura di), Con animo di liberale. Piero Gobetti e i popolari carteggi 1918-1926, Franco Angeli, Milano, 1997

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