Editore ideale

Nella sua casa di via XX settembre, a Torino, Piero Gobetti appunta delle parole con cui suggella la sua proposta di editoria:

Ho in mente una mia figura ideale di editore. Mi ci consolo, la sera dei giorni più tumultuosi, 5, 6 per ogni settimana, dopo aver scritto 10 lettere e 20 cartoline, rivedute le terze bozze del libro di Tilgher o di Nitti, preparati gli annunci editoriali per il libraio, la circolare per il pubblico, le inserzioni per le riviste, litigato col proto che mi ha messo un errore nuovo dopo 3 correzioni, mandato via rassegnato dopo 40 minuti di discussione il tipografo che chiedeva un aumento di 10 lire per foglio, senza concederglielo; aiutato il facchino a scaricare le casse di libri arrivate troppo tardi quando ci sono solo più io ad aspettarlo, schiodata io stesso la prima cassa per vedere i primi esemplari e soffrire io solo del foglio che è sbiancato in una copia, e consolarmi che tutto il resto va bene, che né il legatore né il macchinista non han fatto nessuna gherminella […]. Penso un editore come un creatore. Creatore dal nulla[1].

E creatore, difatti, Gobetti lo sarà per la casa editrice che porta il suo nome e fondata il 25 marzo del 1923. L’intento è di creare il luogo di raccolta per quelle “energie nove”, parafrasando il nome della sua prima rivista, che emergono nel primo dopoguerra e che poi confluiscono nella militanza politico-culturale antifascista.

Quella di Gobetti è una concezione eclettica della professione editoriale: ha in mente una figura tuttofare, una sorta di artigiano dell’editoria che porta avanti un’attività condotta con slancio ed entusiasmo, calibrando la dimensione commerciale con quella dell’organizzazione della cultura. Quindi un’editoria libraria che ha come risultato un libro di cultura con una forte carica morale e educativa.

L’attività febbrile, Ossi di seppia, lo stupore di Carlo Levi

Quella dell’editore giovane, come spesso viene chiamato Gobetti, è una concezione moderna del fare libri. Attento osservatore del suo tempo, con uno sguardo sempre in avanti, è il primo a scommettere sul poeta di Genova che poi diventerà il Montale del premio Nobel: nel 1925 l’esordio della raccolta poetica Ossi di seppia è proprio con la Piero Gobetti Editore.

Il lavoro della casa editrice è frenetico, quasi come se Gobetti respirasse una qualche premonizione che lo avverte di non avere molto tempo a disposizione. Il catalogo si arricchisce di oltre un centinaio di pubblicazioni in tre anni, tra il 1923 e il 1925. Tanto che Carlo Levi, quando un giorno si reca in casa editrice e chiede di poter incontrare Piero Gobetti, è certo che l’editore sia un anziano. Resta invece sorpreso quando sulla porta un ragazzo con occhi vivacissimi e penetranti, una nuvola di ricci in testa, gli risponde: «Sono io».

Editoria come impegno antifascista

Piero Gobetti sceglie una grafica scarna per le proprie edizioni con l’intento di contrapporla all’eleganza editoriale e all’esasperato estetismo di quel periodo. Si tratta di una ruvidezza da intendere come essenzialità. È Felice Casorati a occuparsene e sempre lui disegna l’ex libris.

Si deve invece ad Augusto Monti il motto alfieriano TI MOI ΣΥΝ ΔΟΥΛOIΣΥΝ (“tì moi sun doulòisin?”; “che ho a che fare io con gli schiavi?”) che Gobetti decide di applicare in calce alle copertine dei libri per rimarcare ulteriormente il disegno antifascista. Difatti la Piero Gobetti Editore diventa l’approdo sicuro per gli autori che, a causa del clima di censura in atto nel Paese, vengono rifiutati dalla maggior parte degli editori. Vengono pubblicate opere di personalità come Luigi Sturzo o Francesco Saverio Nitti, noti per la loro opposizione politica a Mussolini. Bisogna ricordare, tra i tanti, anche il testo di Luigi Einaudi, Le lotte del lavoro, opera che si occupa delle origini del movimento operaio in Italia, o la monografia che Gobetti dedica a Matteotti all’indomani dell’omicidio.

Le censure da parte del regime proseguono fino alla diffida del 3 febbraio 1926 che obbliga Gobetti a sospendere l’attività editoriale e a un forzato esilio a Parigi. Mentre Mussolini ordina al prefetto di Torino di “rendere la vita impossibile a Piero Gobetti, insulso oppositore del governo e del fascismo”, il giovane editore continua ad affiancare la forza dirompente delle parole all’azione politica fino a quella morte prematura che, il 15 febbraio del 1926, mette fine alla sua breve esistenza.

L’eredità gobettiana

Ignoriamo come sarebbe l’editoria italiana oggi se la vita di Piero Gobetti non si fosse interrotta troppo in fretta, però possiamo vedere i frutti che da quella pianta sono nati. Molte esperienze editoriali hanno infatti seguito le orme gobettiane: si pensi, per esempio, a quella di Vanni Scheiwiller. Su tutte, però, la diretta depositaria è di sicuro la casa editrice che Giulio Einaudi fonda nel 1933 sempre a Torino, nella storica sede di via Biancamano.

Giulia Gioia


Note e bibliografia

[1] P. Gobetti, L’editore ideale, Lacaita Editore, Manduria 2006, pp. 63-65.